Info: Dislivello: 200 m da Percile (575 m), in quota dall' accesso alla azienda (780 m)
Segnaletica: segnavia rosso-bianco-rosso n. 8
Interesse prevalente: geomorfologico, floristico e storico
Dal piccolo e ben conservato borgo di Percile si prende la strada che conduce alla azienda "Lago" appartenente al demanio regionale. Con l' auto la carrareccia può essere percorsa fino al cancello di entrata alla azienda (4 Km circa dal paese, località Porcareccia, IGMI) dove è previsto il parcheggio per iniziare l' itinerario. Per accedere bisogna seguire sulla sinistra il sentiero che permette di entrare dopo qualche decina di metri nell' area recintata attraverso un varco appositamente realizzato per i visitatori.
L' area, con un estensione di 785 ettari, ricade in una azienda di proprietà del Demanio dello Stato trasferita alla Regione Lazio (Demanio Regionale) con la legge 16 maggio 1970, n.281 (D.M. 14 agosto 1974). Solo la porzione amministrata dal comune di Percile è inclusa all' interno del perimetro del Parco dei Monti Lucretili, ne rimane esclusa quella del comune di Vallinfreda. Attualmente è in concessione ad una cooperativa che gestisce una azienda zootecnica. Superato il varco si accede direttamente alla carrareccia che conduce fino ai lagustelli; l' ambiente è dominato da ampie zone pascolive a valle mentre le pendici di Colle Morello sono ricoperte da formazioni poco sviluppate del ceduo misto. Si tratta di boschi a prevalenza di roverella, cerro, carpino nero e orniello che si impostano su suoli dove la matrice è prevalentemente calcareo-marnosa ad una quota compresa tra i 780 e i 900 m. I pascoli cespugliati sono inframezzati da prugnoli, biancospini, rovi e rose selvatiche. La configurazione del bosco e del pascolo cespugliato denota una prolungata gestione del territorio a pascolo di bovini allo stato semi-brado; le razze rustiche, come la maremmana ad esempio, prediligono le aree nelle quali possono cibarsi anche di germogli di alberi e arbusti. Qui come in buona parte del territorio montano si riscontrano le labili tracce degli insediamenti temporanei di età repubblicana legati alle economie silvo-pastorali; si tratta di piccole concentrazioni di materiale ceramico e lateizi che tradiscono la presenza di "accampamenti" testimoni dell' antico uso del suolo. Percorrendo l' itinerario, sempre sulla carrareccia, si superano i resti sulla sinistra di vecchie strutture murarie (toponimo IGMI "Capanne di S.Oliva") per poi proseguire nel tratto che da un ambiente aperto permette di addentrarsi nel bosco fino ad incontrare il primo dei due laghetti. Per raggiungere e scorgere il lago bisogna superare la recinzione che lo separa sulla sinistra dalla strada; la visione del bacino è estremamente suggestiva soprattutto nel periodo della ripresa vegetativa per l' intricato aspetto dell' intero "pozzo".
I laghi che fino al XVIII secolo erano tre, sono la testimonianza di un processo carsico fossile; i due bacini presentano una forma circolare che tradisce l' origine di doline di crollo che successivamente alla fase carsica attiva sono state rese impermeabili da sedimenti argillosi provenienti dal dilavamento delle formazioni marnose , calcareo-marnose e calcari detritici che costituiscono questo settore del Parco. Il corpo idrico si trova fortemente incassato in una "cinta" dalle pareti strapiombanti con un diametro di ottanta metri mentre lo specchio d' acqua raggiunge un diametro di quaranta metri. L' alimentazione del piccolo lago proviene da una sorgente soggetta a forte variabilità di portata che si trova sul versante orientale del cono. Non esiste un emissario superficiale per cui l' oscillazione del livello medio del lago è fortemente condizionata dagli apporti meteorici. La vegetazione che riveste i versanti è costituita da un fitto bosco con carpino nero, acero d' Ungheria, acero campestre (Acer campeste), cerro, nocciolo (Corylus avellana), maggiociondolo, sporadico olmo (Ulmus minor) ed essenze arbustive quali il corniolo (Cornus sanguinea), ligustro (Ligustrum vulgare), biancospino, prugnolo. La vegetazione igrofila arborea conserva un piccolo popolamento a salice rosso (Salix purpurea) mentre di estremo interesse sono gli aspetti floristici che colonizzano le sponde limacciose e argillose dove prospera la Heleòchloa alopecuroides Host rara graminacea segnalata da Montelucci, unitamente al senecio. Macchioni di rovo bluastro (Rubus caesius) e rovo comune (Rubus ulmifolius) rendono impenetrabile il folto bosco. Impianti di particelle rimboschite effettuate dal Corpo Forestale dello Stato interessano il versante occidentale (con specie alloctone come l' abete e il cipresso) e un piccolo lotto sul versante opposto. La visita del piccolo lago sarà limitata alla sola permanenza sul punto di visuale raggiungibile dalla strada; infatti la discesa verso le sponde, oltre ad essere pericolosa e difficoltosa, costituirebbe un fattore di disturbo per l' ambiente del delicato ecosistema; la conservazione del biotopo è stata demandata nella zonazione del Parco al regime di tutela integrale. Un breve tratto di percorso, sempre sulla carrareccia, permette di raggiungere il secondo e più grande lago noto con il nome di Lago Fraturno. La costruzione che si nota immediatamente prima delle sponde del lago era un edificio della forestale attualmente in disuso. Di forma leggermente ellittica, con un diametro massimo di 118 m, questo lago si presenta morfologicamente differente rispetto al precedente; posto ad una quota più elevata non ha la cinta imbutiforme che caratterizza il primo, ma occupa una conca separata dall' altro da un orlo rialzato a nord. Il regime idrologico non presenta la variabilità dell' oscillazione di livello che invece caratterizza il più piccolo, un fattore questo probabilmente determinato da una maggiore impermeabilizzazione del fondo dell' alveo, da un minore apporto di acque meteoriche e dalla diversa dislocazione e influenza della tettonica locale nei riguardi dei corpi idrici. Lo scalino morfologico che conduce al fondo del bacino (16 m profondità massima) si trova immediatamente oltre le prime isobate, qualche metro da riva.
La facilità di accesso alle sponde ha purtroppo determinato un notevole degrado degli aspetti vegetazionali ripariali a causa dell' eccessiva pressione del pascolo e dei visitatori. Inoltre discutibili interventi selvicolturali hanno interessato le sponde occidentali con la piantumazione di essenze estranee alla flora locale con l' impiego addirittura dell' argenteo cipresso dell' Arizona. Tuttavia il fascino del luogo, l' amenità e la tranquillità offerta da un paesaggio dolce e inconsueto in queste morfologie dominate dai calcari, costituisce una piacevole sorpresa per l' escursionista. La sponda settentrionale è stata interessata da una piantumazione di filari di pioppo cipressino (Populus nigra italica) alla cui base si è sviluppata una vegetazione idrofila con cannuccia palustre (Phragmites australis). Localizzati esemplari di pioppo bianco (Populus alba) e tremulo (P.tremula) ombreggiano interessanti popolamenti di equiseto (Equisetum ramosissimus) e la comune tifa (Typha latifolia) con il giunco nodoso (Juncus articulatus) si alternano lungo le sponde. Due le specie di salice presenti, l' eleagno (Salix eleagnos) che caratterizza la vegetazione ripariale dei corsi d' acqua montani e il salice delle capre (Salix caprea) entrambi dal portamento arbustivo. Il popolamento animale legato all' ambiente umido è per buona parte rappresentato da anfibi e rettili mentre la presenza dell' avifauna è scarsa in relazione alla limitatezza dell' estensione e al disturbo nel bacino più grande. Facilmente osservabile la biscia dal collare (Natrix natrix) mentre accertata la presenza del tritone crestato (Triturus cristatus carnifex) che predilige le pozze e gli ambienti umidi con acque profonde e/o fredde. Probabilmente nidificante nel bacino più piccolo è la comune gallinella d' acqua (Gallinula chloropus). Una nota interessante riportata nella "Descrizione topografica di Roma e Comarca" del 1864 rivela l' antico uso della cattura di "ottime tinche e sanguisughe" nei lagustelli. L' itinerario a questo punto abbandona la carrareccia per dirigersi su un sentiero che si diparte dalla sella che separa l' alveo lacustre maggiore dalla valle del Fosso Rosciella, verso sinistra per salire attraverso i pascoli cespugliati al sito medievale di Rovine Morella. Questo percorso tra i cespugli di prugnolo e rovo non è particolarmente evidente, tuttavia la facile individuazione del rilievo boscoso che sovrasta verso sud-est il lago, permette facilmente di raggiungere quello che anticamente era il sito di uno dei castra fortificati del territorio lucretile. Il sito di Castel del Lago occupa tutta la piccola cresta con orientamento nord-sud indicata dal toponimo IGMI "Rovine Morella". Dell' insediamento restano visibili pochi resti murari; una porzione angolare di una possente muratura con paramento in conci regolari di calcare legati da malta e blocchi squadrati di ammorsatura dell' angolo e alcune strutture immediatamente poste al di sopra di questo contrafforte. Una piccola struttura voltata potrebbe aver avuto la funzione di cisterna mentre sia la cresta sia il terrazzo sottostante rivelano la presenza di allineamenti e incroci di strutture murarie. Ad un occhio attento, nonostante la scarsa presenza di resti visibili, la morfologia del rilievo del sito può tuttavia suggerire una tipologia "a fuso" dell' insediamento. Storicamente appartenente alla prima fase dell' incastellamento medievale (XI-XII sec.), Castel del Lago divenne possedimento dell' Abazia di Farfa, ma già all' inizio del XII secolo diviene proprietà dei Colonna di Riofreddo per poi passare, grazie a Bonifacio VIII, nei tenimenti degli Orsini alla fine del XIII secolo. L' abbandono segue le dinamiche che caratterizzano l' intero sistema fortificato della prima fase dell' incastellamento avvenuto quasi uniformemente nel XV secolo a seguito della perdita di importanza strategico-militare del territorio per avvenuti nuovi assetti politici.
L' ambiente in cui sono immersi i resti aumenta la suggestione, sollecitando l' immagine di una ricostruzione storica mentale; il fitto del bosco che presenta un aspetto più maturo, rende particolarmente piacevole la visita del sito. Alcune vetuste ceppaie di cerro e carpino si insinuano tra i resti mentre l' edera (Hedera helix) e la vitalba (Clematis vitalba) rendono il luogo particolarmente intricato. Raggiunta la piccola radura si piega verso est attraversando pascoli cespugliati con ginestra, prugnolo e biancospino lungo un sentiero in leggera salita, rapidamente ci si immette nella carrareccia che delimita i confini del Parco. Seguendo la strada dopo circa mezz' ora si raggiunge, la carrareccia dell' andata poco prima dei laghi a completamento dell' anello.